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Lo statuto comunale: il breve di Villa di ChiesaIl Breve di villa di chiesa è sicuramente uno dei documenti più studiati in Sardegna. A partire dalll’edizione critica curata da Carlo Baudi di Vesme seguita al suo fortuito ritrovamento nell’archivio comunale (pubblicata postuma nel 1877), l’interesse su questo codice non si è mai attenuato. Ne sono stati analizzati gli aspetti giuridico-normativi, paleografici e diplomatistici, cronologici e i contenuti socio-economici, mentre è di prossima pubblicazione una nuova edizione del testo e uno studio sugli aspetti linguistici a cura di Sara Ravani.
Da chi e quando è stato scritto il breve?
Caratteristiche esteriori. Il supporto scrittorio. Insieme al papiro e alle tavolette cerate la pergamena è stato il principale materiale scrittorio del medioevo fino a quando nel XIII secolo cominciò a diffondersi la carta che la rimpiazzò in larga misura. Tuttavia continuarono ad essere scritti su pergamena i documenti ritenuti di maggiore importanza e ai quali si voleva garantire una conservazione di lunga durata. La pergamena è ricavata da pelle di animale sottoposta a un particolare trattamento che prevedeva le seguenti operazioni: lavaggio, pulitura, macerazione nella calce, raschiatura, essiccazione, trattamento antiassorbente, levigatura con pomice o osso di seppia. La scrittura. Lo stile usato per vergare il breve di Villa di Chiesa è comunemente definito gotica italiana, varietà nostrana di una scrittura utilizzata in tutta l’Europa, che iniziò a farsi strada nell’XI secolo negli ambienti universitari laici, divendone il canone in contrapposizione all’altrettanto diffusa carolina. Tratti tipici della gotica sono i caratteri ravvicinati, stretti e angolosi, con curve spezzate; frequenti legature e tratteggio pesante; effetto chiaro scuro creato dal contrasto tra i trattini sottili delle lettere di inizio o di unione con le aste dritte e di altezza ridotta. Nel complesso questa scrittura appare rigida, uniforme, quasi geometrica tanto da assomigliare alla trama di un tessuto, caratteristica da cui le deriva il nome di textura. Altre caratteristiche. Il breve si presenta bicromatico: il corpo del testo è scritto in inchiostro nero mentre le rubriche, le iniziali dei capitoli, le parole di raccordo dei fascicoli, i numeri romani che indicano il libro, sono in rosso. La coperta è invece in pelle, non coeva, conseguenza di una rilegatura realizzata tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, che ha comportato la rifilatura delle carte compromettendo in qualche caso la leggibilità della prima riga di scrittura.
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Nel secondo libro si tratta la materia penale con l’indicazione dei tipi reato e le pene corrispondenti. Sostanzialmente i reati si inquadrano nelle categorie dei reati alla persona, al patrimonio e ai beni collettivi e le pene venivano modulate in relazione alla valutazione della gravità di un reato fatta dalla società dell’epoca. Dalla pena di morte alla multa. La pena di morte era inflitta con la decapitazione o l’impicaggione per reati considerati gravi come i furti di minerale nelle miniere (capitolo 15), le pene corporali per i reati di minore entità, provocate con mutilazioni di parti del corpo (mani, orecchie). In taluni casi le pene inflitte assumono quasi il valore di un contrappasso dantesco, come nel caso dell’amputazione della lingua riservata a chi rendeva falsa testimonianza (capitolo 42 del libro I) o la castrazione per i sodomiti; altre conservano l’impronta della barbarica legge del taglione. un’offesa procurata con la ferita a una parte del corpo doveva essere risarcita con analoga ferita da infliggere all’aggressore, in caso di mancato risarcimento pecuniario (capitolo 10). Le pene pecuniarie erano invece riservate a reati che nella società e nell’economia dell’epoca avevano evidentemente un impatto minore rispetto al furto del minerale, come l’incendio dei boschi (capitolo 18). Alcune norme, annoverando come reati da risarcire in denaro il proferire parole ingiuriose ai danni di fanciulle o donne maritate, profumano di un vago sapore cavalleresco. Questo atteggiamento cortese non deve tuttavia trarre in inganno sulla condizione della donna nella società dell’epoca di cui il breve testimonia, in vari passi, la reale condizione di inferiorità e sudditanza. Sanzioni pecuniarie erano inoltre previste per reprimere comportamenti dannosi per l’equilibrio igienico-sanitario dell’abitato e scongiurare la diffusione di epidemie. Era pertanto proibito versare acque luride nelle vie del centro urbano, mentre si obbligavano i cittadini a raccogliere la spazzatura e resti organici di varia natura in una discarica localizzata fuori dall’abitato e allo stesso modo si doveva provvedere a smaltire i liquami e il pattume proveniente dalle stalle (capitolo 79) e le carogne di animali. Inoltre, per evitare l’inquinamento delle acque pubbliche, era proibito far abbeverare gli animali e lavare i panni nelle fontane della città e dei suoi borghi. Analoghi accorgimenti igienici venivano presi per salvaguardare la salute degli animali da lavoro e la diffusione delle epizoozie: era proibito lavare i panni nei pubblici abbeveratoi, gettarvi bestie morte o far abbeverare cavalli con malattie infettive (capitoli 76, 77, 43). Il terzo libro elenca norme di diritto civile e procedurali. Tra queste, diverse sono dedicate alla regolamentazione delle arti e dei mestieri esercitati nella città, al di fuori di quelli legati all’attività mineraria (a cui è dedicato il quarto libro). Sono presenti norme sull’attività dei barbieri, (capitolo 71), dei notai (capitolo 78), dei mugnai (capitolo 18), dei fornai (capitoli 16 e 17), dei mattonari (capitolo 72), dei tintori e conciatori (capitolo 62, 66) e dei medici (capitolo 85). Dalla lettura di queste norme emergono inoltre principi che paiono in contraddizione con altri presenti nello stesso breve. Se da un lato l’urgenza dettata dalla necessità di incrementare la produzione mineraria suggeriva la massima liberalità e tolleranza nell’accoglienza di “extracomunitari” di varia provenienza, fossero essi onesti o disonesti (a questi ultimi peraltro veniva sospesa, finché si trovavano all’interno della giurisdizione di Villa di Chiesa, l’esecuzione di condanne per reati commessi in altri luoghi), dall’altro valeva il divieto di stampo razzistico che vietava agli ebrei di risiedere in città in forza di un pregiudizio che li voleva ladri di argento (capitolo 65 del libro II).
Il quarto libro, infine, segna la peculiarità del codice statutario di Villa di Chiesa rispetto ad altri statuti medievali del panorama europeo. Questa sezione del breve, si presenta come un testo di legislazione mineraria, dotato di una sua autonomia, come dimostra la numerazione delle carte che lo compongono e la disposizione di trarne una copia ad uso dei funzionari delle miniere (maestri del monte). Il quarto libro tratta interamente la materia mineraria in tutti i suoi aspetti:
La ricchezza di notizie presenti in questo libro ha permesso agli studiosi di ricostruire nei dettagli il funzionamento dell’industria mineraria a Iglesias nel medioevo e stilare importanti strumenti di studio come glossari dei termini tecnici. Il breve è lo specchio della società medioevale e moderna? Raccogliendo il suggerimento di Marco Tangheroni, ci sembra opportuno far notare che, fatta salva la monumentalità di questo documento, la sua importanza per la ricostruzione della storia di Iglesias nel medioevo e nell’età moderna, e quindi di quella più generale della Sardegna, non bisogna cadere nell’errore di considerare il testo del breve come la testimonianza diretta della vita della città. Più realisticamente esso va considerato come uno spaccato delle contraddizioni della società dell’epoca che emergono dal divario esistente tra il modello di società proposto, rappresentato dalle norme, e l’evidente trasgressione allo stesso che rendeva necessaria l’imposizione di limiti e divieti.
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