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Lo statuto comunale: il breve di Villa di Chiesa

Il Breve di villa di chiesa è sicuramente uno dei documenti più studiati in Sardegna. A partire dalll’edizione critica curata da Carlo Baudi di Vesme seguita al suo fortuito ritrovamento nell’archivio comunale (pubblicata postuma nel 1877), l’interesse su questo codice non si è mai attenuato. Ne sono stati analizzati gli aspetti giuridico-normativi, paleografici e diplomatistici, cronologici e i contenuti socio-economici, mentre è di prossima pubblicazione una nuova edizione del testo e uno studio sugli aspetti linguistici a cura di Sara Ravani.

Da chi e quando è stato scritto il breve?
Il breve di Villa di Chiesa, che ci è stato tramandato, come testo organico di diritto statutario è il risultato della fusione di norme variamente derivate dalle consuetudini, da precedenti codici di leggi, da disposizioni di diritto comune. Come testimoniato dallo stesso documento, il breve è stato nel tempo oggetto di frequenti revisioni e innovazioni ad opera di commissioni composte di giuristi, giudici, notai, detti breviaiuoli. Il breve conservato nell’archivio del comune di Iglesias è una versione degli statuti cittadini successiva alla conquista della città da parte dei catalano-aragonesi avvenuta il 7 febbraio 1324. Una serie di considerazioni basate su documenti dei sovrani-catalano aragonesi che trattano del breve e l’esame minuzioso del contenuto del testo hanno indotto autorevoli studiosi a datare questo codice in un momento compreso nel triennio 1324-1327. Più precisamente questo testo si qualificherebbe come una versione intermedia tra il testo utilizzato nella fase della dominazione diretta dei pisani e quello emendato e riportato a una forma organica dai brevaioli, nominati appositamente dall’infante Alfonso.

Caratteristiche esteriori.
Il breve di villa di Chiesa, in linea con gli usi propri della produzione libraria nella prima metà del XIV secolo, si presenta come un codice in pergamena (carta di montoni) scritto in gotica libraria.

Il supporto scrittorio. Insieme al papiro e alle tavolette cerate la pergamena è stato il principale materiale scrittorio del medioevo fino a quando nel XIII secolo cominciò a diffondersi la carta che la rimpiazzò in larga misura. Tuttavia continuarono ad essere scritti su pergamena i documenti ritenuti di maggiore importanza e ai quali si voleva garantire una conservazione di lunga durata. La pergamena è ricavata da pelle di animale sottoposta a un particolare trattamento che prevedeva le seguenti operazioni: lavaggio, pulitura, macerazione nella calce, raschiatura, essiccazione, trattamento antiassorbente, levigatura con pomice o osso di seppia.

La scrittura. Lo stile usato per vergare il breve di Villa di Chiesa è comunemente definito gotica italiana, varietà nostrana di una scrittura utilizzata in tutta l’Europa, che iniziò a farsi strada nell’XI secolo negli ambienti universitari laici, divendone il canone in contrapposizione all’altrettanto diffusa carolina. Tratti tipici della gotica sono i caratteri ravvicinati, stretti e angolosi, con curve spezzate; frequenti legature e tratteggio pesante; effetto chiaro scuro creato dal contrasto tra i trattini sottili delle lettere di inizio o di unione con le aste dritte e di altezza ridotta. Nel complesso questa scrittura appare rigida, uniforme, quasi geometrica tanto da assomigliare alla trama di un tessuto, caratteristica da cui le deriva il nome di textura.

Altre caratteristiche. Il breve si presenta bicromatico: il corpo del testo è scritto in inchiostro nero mentre le rubriche, le iniziali dei capitoli, le parole di raccordo dei fascicoli, i numeri romani che indicano il libro, sono in rosso. La coperta è invece in pelle, non coeva, conseguenza di una rilegatura realizzata tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, che ha comportato la rifilatura delle carte compromettendo in qualche caso la leggibilità della prima riga di scrittura.

Lingua
Il breve è scritto in una lingua italiana che Sara Ravani ha definito un impasto in cui si riconoscono elementi lessicali di origine pisana, germanica e sarda, ciascuno dei quali legato a un preciso ambito di riferimento. Considerando il pisano come base linguistica del breve, sono di origine germanica la maggior parte dei termini minerari e di origine sarda quelli legati agli antichi ordinamenti giudicali (armentario, curatore, magiore, pratargio) e all’economia agro-pastorale (molente e molentaio). Influssi del sardo sono stati rilevati anche a livello fonetico.

Contenuto
Il breve di Villa di Chiesa contiene 363 norme (capitoli) raggruppate in quattro libri e identificate da rubriche disposte secondo una successione che spesso sfugge a rigorosi schemi tematici. L’insieme delle norme si prefigge di regolamentare tutti gli aspetti della vita del comune e della comunità di Villa di Chiesa. Nel primo libro viene definita la struttura amministrativa del comune, gli organi istituzionali e le loro competenze. Accanto agli organi politici deputati al governo della città (capitano o rectore, consiglio), il breve traccia il profilo di una pluralità di cariche istituzionali dotate di competenze particolari o incaricate della gestione degli uffici:

  • camerlengo, importante carica istituzionale di origini pisane con funzioni di esattore/tesoriere. Sotto la dominazione aragonese l’ufficio del camerlengo, divenuto un ufficiale regio, è retto a Iglesias alternativamente da organi individuali o collegiali. Al camerlengo spettava l’esazione delle rendite generali dovute al re nel territorio sottoposto alla sua giurisdizione, insieme alla facoltà di amministrarne il gettito provvedendo alle spese nel medesimo territorio, tra le quali gli stipendi dovuti agli ufficiali regi (doc. n. 13). Il camerlengo sovrintendeva inoltre all’attività mineraria che si svolgeva nel territorio, per garantirne il regolare svolgimento. A questo scopo era tenuto a custodire i pesi originali per la pesatura del minerale e a verificare i corbelli e i mezzi corbelli, le ceste utilizzate per la raccolta del minerale che fungevano anche come misura di capacità del minerale, provvedendo all’eliminazione di quelli non conformi.
  • notai, al servizio del capitano e del giudice incaricati di registrare le denunce di reato, di assistere agli interrogatori degli imputati e dei testimoni e redigerne gli atti;
  • sergenti, incaricati di salvaguardare l’ordine pubblico.
  • modulatori, incaricati di controllare l’operato degli ufficiali e dotati della facoltà di comminare sanzioni pecuniarie e infliggere pene che andavano dalla detenzione alle pene corporali.
  • maestri del monte, esperti in materia mineraria, erano nominati dal consiglio e dotati di importanti competenze di arbitrato nelle controversie che sorgevano nel settore di riferimento;
  • guardia delle vigne, con compiti di vigilanza armata sui campi coltivati per preservarli dai danni che potevano essere arrecati dal bestiame o dalle persone.

Nel secondo libro si tratta la materia penale con l’indicazione dei tipi reato e le pene corrispondenti. Sostanzialmente i reati si inquadrano nelle categorie dei reati alla persona, al patrimonio e ai beni collettivi e le pene venivano modulate in relazione alla valutazione della gravità di un reato fatta dalla società dell’epoca.

Dalla pena di morte alla multa. La pena di morte era inflitta con la decapitazione o l’impicaggione per reati considerati gravi come i furti di minerale nelle miniere (capitolo 15), le pene corporali per i reati di minore entità, provocate con mutilazioni di parti del corpo (mani, orecchie). In taluni casi le pene inflitte assumono quasi il valore di un contrappasso dantesco, come nel caso dell’amputazione della lingua riservata a chi rendeva falsa testimonianza (capitolo 42 del libro I) o la castrazione per i sodomiti; altre conservano l’impronta della barbarica legge del taglione. un’offesa procurata con la ferita a una parte del corpo doveva essere risarcita con analoga ferita da infliggere all’aggressore, in caso di mancato risarcimento pecuniario (capitolo 10). Le pene pecuniarie erano invece riservate a reati che nella società e nell’economia dell’epoca avevano evidentemente un impatto minore rispetto al furto del minerale, come l’incendio dei boschi (capitolo 18). Alcune norme, annoverando come reati da risarcire in denaro il proferire parole ingiuriose ai danni di fanciulle o donne maritate, profumano di un vago sapore cavalleresco. Questo atteggiamento cortese non deve tuttavia trarre in inganno sulla condizione della donna nella società dell’epoca di cui il breve testimonia, in vari passi, la reale condizione di inferiorità e sudditanza. Sanzioni pecuniarie erano inoltre previste per reprimere comportamenti dannosi per l’equilibrio igienico-sanitario dell’abitato e scongiurare la diffusione di epidemie. Era pertanto proibito versare acque luride nelle vie del centro urbano, mentre si obbligavano i cittadini a raccogliere la spazzatura e resti organici di varia natura in una discarica localizzata fuori dall’abitato e allo stesso modo si doveva provvedere a smaltire i liquami e il pattume proveniente dalle stalle (capitolo 79) e le carogne di animali. Inoltre, per evitare l’inquinamento delle acque pubbliche, era proibito far abbeverare gli animali e lavare i panni nelle fontane della città e dei suoi borghi. Analoghi accorgimenti igienici venivano presi per salvaguardare la salute degli animali da lavoro e la diffusione delle epizoozie: era proibito lavare i panni nei pubblici abbeveratoi, gettarvi bestie morte o far abbeverare cavalli con malattie infettive (capitoli 76, 77, 43).

Il terzo libro elenca norme di diritto civile e procedurali. Tra queste, diverse sono dedicate alla regolamentazione delle arti e dei mestieri esercitati nella città, al di fuori di quelli legati all’attività mineraria (a cui è dedicato il quarto libro). Sono presenti norme sull’attività dei barbieri, (capitolo 71), dei notai (capitolo 78), dei mugnai (capitolo 18), dei fornai (capitoli 16 e 17), dei mattonari (capitolo 72), dei tintori e conciatori (capitolo 62, 66) e dei medici (capitolo 85).

Dalla lettura di queste norme emergono inoltre principi che paiono in contraddizione con altri presenti nello stesso breve. Se da un lato l’urgenza dettata dalla necessità di incrementare la produzione mineraria suggeriva la massima liberalità e tolleranza nell’accoglienza di “extracomunitari” di varia provenienza, fossero essi onesti o disonesti (a questi ultimi peraltro veniva sospesa, finché si trovavano all’interno della giurisdizione di Villa di Chiesa, l’esecuzione di condanne per reati commessi in altri luoghi), dall’altro valeva il divieto di stampo razzistico che vietava agli ebrei di risiedere in città in forza di un pregiudizio che li voleva ladri di argento (capitolo 65 del libro II).

Il quarto libro, infine, segna la peculiarità del codice statutario di Villa di Chiesa rispetto ad altri statuti medievali del panorama europeo. Questa sezione del breve, si presenta come un testo di legislazione mineraria, dotato di una sua autonomia, come dimostra la numerazione delle carte che lo compongono e la disposizione di trarne una copia ad uso dei funzionari delle miniere (maestri del monte). Il quarto libro tratta interamente la materia mineraria in tutti i suoi aspetti:

  • forme societarie e finanziamento dell’attività estrattiva. Lo sfruttamento delle miniere era affidato all’iniziativa di singoli o di società, con un numero variabile di soci (parsonavili) a seconda delle quote societarie detenute (trente). L’attività mineraria era incentivata anche attraverso la concessione di premi in denaro o esenzioni tributarie. Il capitale necessario per sostenere gli investimenti poteva essere fornito o da figure direttamente coinvolte nell’impresa (bistanti) o da finanziatori esterni.
  • luoghi della produzione. Le aree di coltivazione mineraria erano denominate montagne; in esse si scavavano miniere (fosse) sia in orizzontale (canali) sia in verticale (bottini).
  • risorse umane, L’organizzazione del lavoro prevedeva la presenza di dirigenti (maestro e scrivano), tecnici e operai (picconieri per lo scavo della roccia, bulgaiuoli per il trasporto del minerale, pestatori addetti alla separazione del minerale, maestri colatori, smiratori e tractatori addetti alla fusione del minerale e alla produzione dell’argento).
  • strumenti, metodi e tecniche di produzione. Il processo minerario si divideva in attività e fasi:
    • estrazione del materiale: avveniva previo rivestimento delle pareti delle gallerie con legno al fine di assicurarne la tenuta. Una volta portato in superficie tramite grosse borse di pelle (bolghe), il materiale veniva accumulato nell’area d’ingresso della miniera e quindi pestato tramite grossi martelli al fine di separare il minerale dal materiale sterile;
    • lavatura del minerale: per effettuare l’operazione si prediligevano le aree che garantivano un’adeguata disponibilità di acqua (piasse da lavare vena). Il materiale veniva riversato con le pale in corbelli, apposite ceste dotate di manici per il trasporto, la cui capacità valeva anche come unità di misura;
    • trasporto del minerale: veniva effettuato dagli asinari (molentari) e carrettieri (carratori) che conferivano il materiale alle fonderie.
  • attività derivate e indotto: il minerale estratto veniva conferito alle fonderie dei guelchi dove avveniva la fusione (ceneraccio) e la produzione dell’argento. Quest’ultimo si otteneva separando dalla galena il piombo (stiramento). Si trattava di un delicato processo che richiedeva precisione e abilità nel dosaggio della temperatura del forno. L’argento estratto veniva confezionato in piastre e il piombo in lamine. La produzione dell’argento incentivava una serie di attività economiche di supporto come la fornitura di legname, ceppi e cenere per i forni.
  • magistrature deputate alla regolamentazione dell’attività: erano rappresentate dai maestri di monte, con funzioni di arbitrato per le liti che insorgevano nelle varie fasi dell’attività mineraria, e dai camerlenghi, i quali in ragione della loro funzione di esattori esercitavano un serrato controllo sui guelchi, sulla cui attività lo Stato, sotto tutti i regimi (donoratico, pisani, aragonesi), traeva i profitti legati all’industria mineraria di Villa di Chiesa.

La ricchezza di notizie presenti in questo libro ha permesso agli studiosi di ricostruire nei dettagli il funzionamento dell’industria mineraria a Iglesias nel medioevo e stilare importanti strumenti di studio come glossari dei termini tecnici.

Il breve è lo specchio della società medioevale e moderna? Raccogliendo il suggerimento di Marco Tangheroni, ci sembra opportuno far notare che, fatta salva la monumentalità di questo documento, la sua importanza per la ricostruzione della storia di Iglesias nel medioevo e nell’età moderna, e quindi di quella più generale della Sardegna, non bisogna cadere nell’errore di considerare il testo del breve come la testimonianza diretta della vita della città. Più realisticamente esso va considerato come uno spaccato delle contraddizioni della società dell’epoca che emergono dal divario esistente tra il modello di società proposto, rappresentato dalle norme, e l’evidente trasgressione allo stesso che rendeva necessaria l’imposizione di limiti e divieti.

 

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