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03 - Comune di Musei

 
 
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Il soggetto produttore

Le Ville

Sotto il profilo istituzionale il comune di Musei, così come tutti i comuni rurali della Sardegna, rappresenta l’evoluzione delle primitive forme di autogoverno comunitario confluite nella forma della villa, dapprima rappresentate da consigli generali, variamente composti sotto il dominio baronale, e successivamente regolamentata con il R.E. 25/09/1771 che istituì in tutte le ville del Regno di Sardegna il consiglio comunitativo.

La Comunità
Mandato, funzioni, attività. Prima del 1848, le comunità di villaggio, in quanto forme di amministrazione autonoma si reggevano, dal punto di vista istituzionale, intorno al consiglio comunitativo, istituito dal R.E. 25/09/1771. Al consiglio spettava l’amministrazione degli affari e degli interessi della comunità, la tutela dei suoi beni, la ripartizione delle imposte, l’esazione del donativo, l’esecuzione di opere pubbliche, l’assegnazione dei lotti delle vidazzoni (terreni sottoposti alternativamente alla coltura e al pascolo), la nomina di un segretario comunale e la tenuta degli atti.

Struttura amministrativa. Il consiglio veniva eletto dall’assemblea dei capi di casa riuniti per classi di censo ed era formato da sette persone, nelle comunità di villaggio con più di duecento unità familiari, da cinque in quelle aventi una popolazione compresa tra le cento e le quaranta unità. I consiglieri erano espressione delle tre categorie di persone in cui erano divisi gli elettori: primi, mezzani, infimi. Il primo eletto di ogni classe, a turno, veniva nominato sindaco e restava in carico un anno, dal 1° gennaio al 31 dicembre, e non poteva essere rieletto se non dopo i turni dei primi eletti delle altre due classi. La nomina non poteva essere rifiutata, salvo casi di legittimo impedimento da motivarsi dinanzi al viceré. Il sindaco doveva provvedere alle convocazioni del consiglio che avevano validità se erano presenti i due terzi dei consiglieri e il ministro di giustizia o il maggiore di giustizia, i quali non potevano intervenire alle discussioni o avere peso nelle decisioni. In caso di deliberazioni di particolare importanza, alienazione o ipoteca di beni della comunità o spese straordinarie, il consiglio poteva riunirsi in seduta raddoppiata, cioè con un numero doppio di componenti. Le sedute del consiglio si tenevano in casa del sindaco.

Il comune moderno
Mandato, funzioni, attività. Nel 1848, in seguito alla riforma amministrativa sancita col R.D. 07/10/1848, n. 295, nasce il comune moderno. L'importante riforma istituzionale trasformò profondamente la normativa vigente in materia di amministrazione locale: furono abolite le province e contestualmente furono istituiti i comuni con natura di enti morali, dotati di organi rappresentativi eleggibili e con capacità di possedere, contrarre, stare in giudizio e di potestà regolamentare. Ai nuovi enti spettava l’esercizio di funzioni da assolvere nell'interesse della collettività, utilizzando le risorse tratte dall'imposizione di tributi e dallo sfruttamento dei propri beni. Un successivo intervento di riforma della materia amministrativa fu realizzato con R.D. 23/10/1859, n. 3702, il quale suddivise il territorio del regno in province, circondari, mandamenti e comuni ma lasciò sostanzialmente invariata la configurazione del comune e le sue competenze, limitandosi a modificare la denominazione degli organi e la loro composizione: la giunta diventò l'organo esecutivo del comune e scomparve la figura del vicesindaco. In seguito all'unità d'Italia, il modello di comune definito con le riforme del 1848 e del 1859 venne esteso, senza sostanziali modifiche, con il R.D. 20/03/1865, n. 2248, a tutti i comuni del regno. L’ordinamento del 1865 definì alcuni capisaldi destinati a perdurare nel tempo, nei quali si ravvisa una certa incoerenza. Se da un lato si ha il riconoscimento dell’autonomia locale che si realizza attraverso il diritto di eleggere i consiglieri e la limitazione dell’assenso governativo sugli atti del comune, dall’altro si compiono scelte che si possono leggere come il tentativo di fare dei comuni i terminali dell’azione di governo, con l’inevitabile limitazione dell’autonomia locale. In questa direzione vanno scelte come l’imposizione ai comuni di spese obbligatorie delle quali non potevano in alcun modo determinare la gestione e l’orientamento; il rigido controllo degli atti affidata sostanzialmente al ministero dell’interno attraverso il prefetto; il duplice ruolo del sindaco, insieme rappresentante del potere locale e ufficiale del governo. Le varianti ed i perfezionamenti apportati con i TT.UU. del 1889, del 1906, del 1908 e del 1915 non cambiarono dunque la fisionomia dell'ordinamento comunale stabilita dalla legge del 1865 che in base a queste disposizioni era tenuto a svolgere una pluralità di funzioni suddivisibili sostanzialmente in due categorie: funzioni proprie e funzioni delegate dallo Stato. Compiti dei comuni erano: l’istruzione elementare, l’assistenza medica ai poveri, i lavori pubblici di interesse locale (cimiteri, palazzi, strade comunali, edilizia), l’approvvigionamento idrico, i servizi di polizia urbana e sanitaria, disciplina del commercio, la vigilanza sugli enti di carità e beneficenza che operavano nel territorio comunale. Accanto a queste attività, il comune era tenuto a svolgere funzioni statali che venivano decentrate a livello di enti locali per la capacità di questi ultimi di agire in modo più capillare e diretto sul territorio. Tra le funzioni delegate vi erano: i servizi dello stato civile, la tenuta e la revisione delle liste elettorali, la formazione delle liste dei giurati della Corte d’Assisi. Rientrano in quest’ultima categoria anche la fornitura e la manutenzione degli edifici scolastici per la scuola elementare e professionale e le spese per il relativo personale docente e non docente. Sostanziali modifiche dell'assetto istituzionale del comune si ebbero con le leggi del regime fascista: con la L. 04/02/1926, n. 237 si stabilì che nei comuni con più di 5.000 abitanti gli organi elettivi fossero sostituiti dalla figura del podestà e dalla ponsulta municipale (quest'ultima facoltativa), mentre il T.U. sulla legge comunale e provinciale promulgato con R.D. 03/03/1934, n. 383 armonizzò l'ordinamento degli enti locali con i nuovi organi. Solo dieci anni più tardi, dopo la caduta del fascismo, con R.D.L. 04/04/1944, n. 111 furono ripristinati quali organi di origine elettiva il sindaco, il consiglio comunale e la giunta municipale. Questi organismi, di nomina prefettizia, traghettarono le istituzioni comunali sino al 1946 quando, con legge del 7 gennaio, fu disposta la ricostituzione degli organi elettivi con l'introduzione di alcune modificazioni nel sistema di elezione dei consiglieri, mentre per quanto riguardava le attribuzioni e il funzionamento venne richiamato il T.U. del 1915. Con il T.U. del 1951 e successive modificazioni fu definito il sistema di elezione del sindaco e dei consiglieri. La L. 08/06/1990, n. 142 definisce il comune come ente che rappresenta e cura gli interessi della propria comunità, esercita funzioni proprie riguardanti la popolazione e il territorio comunale (servizi sociali, assetto del territorio, sviluppo economico), esercita le funzioni delegate dallo stato e dalla regione (servizi elettorali, anagrafe, statistica, stato civili, leva militare, sanità e igiene pubblica, assistenza e beneficenza, polizia urbana e rurale, istruzione pubblica, agricoltura, industria e commercio, sicurezza pubblica, ecc.), ed è dotato di autonomia, oltre che finanziaria anche statutaria.

Struttura amministrativa. La riforma del 1848 stabiliva che il comune, quale ente autonomo, si doveva amministrare attraverso il consiglio comunale ed il consiglio delegato (trasformatosi in giunta municipale con il R.D. 23/10/1859) e metteva a capo dell'amministrazione comunale il sindaco. In caso di scioglimento del consiglio o di "inopinata mancanza" dello stesso, veniva chiamato ad amministrare il comune un delegato straordinario nominato dal re. In via eccezionale e provvisoria, per negligenza od omissione da parte degli organi ordinari, si inviava un commissario, nominato dall'autorità governativa, per il disbrigo degli affari urgenti.

Il consiglio comunale rappresentava il supremo organo deliberativo, eletto dagli abitanti del comune che la legge ammetteva all'esercizio del voto tra la classe degli eleggibili. I consiglieri si rinnovavano, nei primi quattro anni, per un quinto dei membri tramite sorteggio. In seguito il rinnovo avveniva per anzianità. I consiglieri erano sempre rieleggibili. Il consiglio comunale si radunava in sessione ordinaria due volte l'anno: nella sessione primaverile di aprile o maggio e nella sessione autunnale di ottobre o novembre. Riunioni straordinarie del consiglio comunale potevano essere richieste all'intendente generale, da un terzo dei consiglieri, oppure, in casi di necessità e urgenza, potevano essere indette direttamente dallo stesso intendente generale. Durante la sessione d'autunno, il consiglio comunale eleggeva i membri del consiglio delegato (poi giunta municipale) e deliberava il bilancio del comune, mentre nella sessione primaverile esaminava e approvava il conto dell'esercizio precedente; sempre nella stessa sessione si aggiornavano le liste elettorali. Deliberazioni che avevano come oggetto gli stipendi, indennità, salari, nomina, sospensione e licenziamento del personale dipendente potevano essere adottate in entrambe le sedute. Il consiglio inoltre deliberava in merito alla gestione del patrimonio comunale, sulle imposte e la loro applicazione. Tra le attribuzioni principali del consiglio vi era quella di deliberare sul concorso del comune nell'esecuzione di opere pubbliche e nella realizzazione di quelle opere per legge obbligatorie. Il consiglio comunale, in prima seduta, non poteva deliberare se non era presente la metà dei consiglieri; in seconda seduta le deliberazioni venivano considerate valide qualunque fosse il numero degli intervenuti.

La giunta municipale, subentrata nel 1859 al consiglio delegato che aveva solo funzioni consultive, era l'organo esecutivo del comune il quale veniva eletto in seno al consiglio a maggioranza assoluta di voti; si rinnovava ogni anno e i membri uscenti erano rieleggibili al termine dell'anno. Alla giunta municipale spettava il compito di formare i progetti di bilancio e i regolamenti che dovevano essere sottoposti all'approvazione del consiglio comunale; coadiuvava il sindaco nella formazione del conto, deliberava sulle spese impreviste, preparava i ruoli delle tasse e degli oneri comunali. La giunta, inoltre, concludeva le locazioni e le conduzioni, i contratti e i deliberati di massima del consiglio, provvedeva alla formazione delle liste elettorali e partecipava alle operazioni della leva. Infine, rappresentava il comune nelle funzioni solenni.

Il sindaco definito dalla riforma del 1865 non era elettivo ma veniva nomina dal re, che lo sceglieva tra i consiglieri comunali. L’elettività del sindaco, introdotta nel 1888 solo per i comuni capoluogo di provincia o con più di 10.000 abitanti, verrà estesa a tutti i comuni del regno solo nel 1896. Al sindaco veniva riconosciuto il duplice ruolo di capo dell'amministrazione comunale e di ufficiale di governo. Una condizione, questa, che ne faceva una sorta di figura bifronte: da un lato il rappresentante della comunità locale, dall’altro l’anello terminale nella catena di trasmissione del potere centrale. Sotto il primo aspetto doveva presiedere le riunioni del consiglio comunale e del consiglio delegato (poi giunta municipale) che convocava con avviso scritto. Aveva il compito di custodire il sigillo, provvedere al regolare andamento dei servizi comunali, alla tenuta del protocollo, dei registri e dell'archivio. Al sindaco spettava inoltre di rappresentare il comune in giudizio, di assistere agli incanti, di promuovere e far eseguire le deliberazioni comunali e i regolamenti di polizia urbana. Alla fine dell'anno rendeva conto della sua gestione al consiglio comunale. Nel ruolo di ufficiale di governo il sindaco aveva compiti di vigilanza sulla morale pubblica e di garanzia dell'ordine pubblico, rispetto alla quale era tenuto a informare tempestivamente le autorità superiori in merito a eventi che potevano turbarlo. Tutelava inoltre gli interessi dei minori e il loro patrimonio. Il sindaco provvedeva al censimento della popolazione e ad altri rilevamenti statistici, nonché alla regolare tenuta dei registri di nascita, matrimonio e morte; partecipava alla formazione dei ruoli per le somministrazioni militari curando anche l'esecuzione degli stessi in caso di passaggio di truppe. Quale ufficiale di governo, spettava, inoltre, al sindaco la pubblicazione delle leggi, dei manifesti e degli avvisi al pubblico. In caso di assenza o impedimento svolgeva le funzioni di sindaco, fino al 1859, un vicesindaco; in seguito tale ruolo fu affidato al consigliere più anziano cui il sindaco poteva delegare una parte delle sue attribuzioni.

Gli organi istituzionali, nello svolgimento della propria attività erano affiancati dagli organi burocratici (segretario comunale e il complesso dei dipendenti).

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